venerdì 9 ottobre 2020

Epilogo


 

Epilogo.

Che esperienza,la mia! Tragica senza alcun dubbio, ma anche con aspetti

paradossali  e in forte contrasto.

Come il terrore del primo impatto dei Praghesi con i mig appena atterrati 

che vomitano tanki carichi  di soldati mongoli che si rivelano presto un parto

 assurdo della paura. In contrasto netto  con il comportamento che quegli stessi 

cittadini imposteranno durante il giorno come se una voce sotterranea rapidamente 

diffusa li avesse concordemente spinti a un generalizzato, freddo tentativo di 

fraternizzazione con i biondi giovanotti in divisa sui carri armati. Iniziativa

a quanto  pare efficace, riuscita e giudicata molto rischiosa se i dirigenti sovietici 

decidono che il giorno dopo tutte le truppe devono essere sostituite e deve essere 

vietato in modo assoluto qualsiasi contatto dei nuovi soldati con i cittadini di Praha.

Coraggio ragionato – il popolo ceco  trae il suo approccio cartesiano alla vita dal 

fatto di essere stato il protagonista, all’est dell’Europa , della prima rivoluzione 

industriale - estremo, dettato  dalla condizione altrettanto estrema in cui si sono 

venuti a trovare inaspettatamente gli abitanti della città, in contrasto stridente con 

l’ingenuità totale dei soldati di leva,convinti di partecipare semplicemente alle

manovre  abituali del Patto di Varsavia, assolutamente inconsapevoli di costituire

 un esercito invasore. Razionali  e iperattivi  i giovani praghesi che in un baleno

 bendano le statue dei loro eroi e pensatori perché non debbano osservare tanto

 scempio e, ai loro piedi, si affannano a confezionare senza sosta manifesti  con

 cui ricoprire ogni muro della città perché tutti siano informati di quel che sta

accadendo insieme con le iniziative per opporsi all’affronto assurdo patito; senza

tuttavia dimenticare di rendere pubblicamente esplicito, sempre tappezzando i 

muri della città, il forte legame di stima e di identità di intenti tra il popolo e i

suoi rappresentanti eletti.

  Efficaci e tempestivi i diplomatici francesi che organizzano l’esodo dei 

loro concittadini e anche altri stranieri che il turismo congressuale o culturale

ha intempestivamente portato in città, in opposizione, purtroppo, netta e chiara

con la totale inefficienza della parallela struttura organizzativa italiana che

 altrettanto prontamente  si svuota proprio nel momento in cui sarebbero

indispensabili i suoi servizi.

   E ancora un contrasto significativo: i capannelli di semplici cittadini  

che avvicinano gli stranieri in uscita per porgere  malinconicamente lettere 

da impostare una volta varcata la frontiera, come condannati rassegnati a una

sorte ineluttabile e, come sarà reso esplicito qualche giorno dopo, dalla stampa

internazionale, il contributo capillare di quegli stessi instancabili cittadini anonimi

che provvederanno a modificare la direzione di ogni segnale stradale per  offrire

il proprio contributo al disorientamento dell’occupante.

   E per concludere la ben strana cernita di esempi contrastati quello finale

che oppone l’atmosfera plumbea di Praga, con quella rilassata e molto confortevole

della hall del lussuoso albergo viennese dove passano il tempo della comoda attesa

i giornalisti per scrivere i loro

servizi di prima linea, nutriti dai racconti  di alcuni fortunati fuoriusciti, scampati 

all’inferno di Praga.

   E infine il contrasto più difficile da accettare, quello storico-politico di un

 popolo, quello cecoslovacco , che  in modo più diffusamente convinto e costruttivo 

tra quelli che facevano parte del Patto di Varsavia, aveva aderito fin dall’inizio  ai

 principi dell’etica e dell’organizzazione post –rivoluzionaria, che per assurdo non 

aveva partecipato poi alla destalinizzazione,  a cui invece si erano  dedicati i Polacchi 

o gli Ungheresi  e che, infine, una volta trovata la via di una soluzione fertile di serenità

e sicurezza economica, incappi in una contro-iniziativa  talmente estrema, grave e 

ntollerabile, di cui neppure l’età staliniana era stata capace. Evidentemente il livello 

di gravità di un tal gesto non può appartenere che a politici autoritari  certamente, ma

 anche ottusamente inadeguati.

                                                               FINE

 

 

 

 

 


giovedì 8 ottobre 2020

L'addio doloroso e rocambolesco alla "città magica"violata.

 

 Sono particolarmente angosciata perché per strada ho già cominciato a chiedere  

agli Italiani in macchina che ho incontrato – ce ne sono molti in città – un passaggio

 per rientrare. Ho ricevuto ogni volta un rifiuto. Non collaborano, si chiudono a riccio,

 forse perché non si fidano. Certo, è duro solidarizzare quando si ha paura, anche se il

 pericolo dovrebbe cementare lo spirito di gruppo. Il passaggio in macchina è, d’altronde,

obbligato, è l’unica possibilità, perché treno e aereo sono bloccati. Comincio allora  a 

pensare  ad un’opportunità che l’indomani voglio verificare.

Ed eccomi pronta a partire con “armi e bagagli” -  si fa per dire -  e se tutto 

va bene. Irena mi accompagna. Per il mio soggiorno aveva preso le ferie presso

 lo studio di architettura dove lavora. saliamo verso Mala Strana. Io ho una patria 

d’elezione, la Francia, tradizionalmente”terre d’accueil”. Voglio raggiungere 

quell’ambasciata per tentare di uscire dal paese.

Nel piazzale davanti alla sede dell’ambasciata francese vediamo una piccola

 folla che si va via via ispessendo e tante macchine, quando arriviamo.

 

 

Persone e auto in attesa di partire davanti all'Ambasciata Francese

Le macchine cominciano a organizzarsi in una carovana.



Riesco con facilità a incontrare i responsabili dell’organizzazione per  l’emergenza,

che si rivelano gentili e disponibili in modo nient’affatto formale verso di me. Mi  

informano subito che hanno organizzato una colonna di macchine per portare fuori

 dal paese le persone che lo hanno richiesto. Purtroppo le auto attualmente disponibili 

sono occupate. Ma non devo scoraggiarmi. La prossima vettura che sopraggiungerà,

 con un posto libero, sarà la mia opportunità. e, in effetti, non è neanche lunga l’attesa.

 

 


La colonna di macchine è pronta a partire.


Una Mini  Morris arriva con due giovani a bordo. Si presentano come

 due giornalisti  francesi e sono addirittura contenti che io faccia il viaggio 

con loro, perché, sostengono, grazie  alla tradizionale galanteria slava,

il materiale fotografico cui tengono tanto potrà  passare il confine se io me

 lo terrò addosso; certamente i militari non si permetteranno mai di perquisire

 me. C’è, piuttosto, ancora qualche problema da risolvere. Non possiamo  da 

subito seguire la colonna perché i due giovanotti devono restituire le chiavi

 del residence universitario e devono ancora scattare alcune foto alla tomba 

di  Kafka al vecchio cimitero ebraico. Raggiungeremo successivamente la 

colonna in marcia. E’ sufficiente conoscere con precisione l’itinerario che i 

responsabili  intendono seguire . Perciò andiamo insieme a documentarci e

 ad avvertire delle nostre  necessità i funzionari alla guida dell’organizzazione.

         E’ il momento duro dei saluti in un contesto penoso. Irena aspetta,

impietrita,la nostra partenza.

 

Irena nel momento degli addii davanti alla Mini Morris che mi ha dato un prezioso passaggio.

  La violenza della separazione è molto dolorosa anche per me. In un certo

senso mi sembra di fuggire, abbandonando i miei amici alla loro sorte che, al

momento, non promette niente di buono. Cerco di distrarmi pensando al

 privilegio di poter visitare, nonostante tutto, la tomba di Kafka.  All’arrivo

l’atmosfera è, ancora una volta,assurda. Viene ad aprirci il cancello cigolante

 un piccolo vecchio ricurvo con una berretta di lana e gli occhialetti tondi scesi 

sul naso – che sia il padre del Golem? – che ci accoglie come se tutto quello che

 sta accadendo non esistesse per lui. Ci accompagna attraverso l’accatastamento 

caotico delle antiche lapidi con passo instabile, ma con guida sicura, fino alla

 tomba del  grande scrittore e poi, discreto, si allontana.

 



 L'accumulo delle lapidi ...


 

...  nel vecchio cimitero ebraico di Praha.

Preparativi per la foto  alla tomba del grande scrittore......

 


 



 


.. anche la foto alla tomba del grande scrittore è ormai acquisita


    Alla conclusione della visita, prima di risalire in macchina,troviamo 

un gruppo di persone che ci pregano, una volta che avremo superato la frontiera, 

di impostare le lettere che desiderano affidarci, destinate ai loro cari lontani. 

Volentieri ci assumiamo l’impegno. Altri spessori sotto i miei abiti, per fortuna 

non così leggeri come la stagione imporrebbe. L’ansia ha accentuato la mia 

natura freddolosa e poi ho creduto furbo alleggerire il bagaglio mettendomi 

addosso il più possibile di indumenti; come una cipolla strato su strato...

     Accetto i miei compiti delicati con la consapevolezza del pericolo insito,

 ma non  ho paura. Svolgo semplicemente il ruolo che è più adatto a me.

 E’ il modo  che mi si presenta per fare anch’io la mia parte e rendermi

utile.Profittiamo dell’incontro per chiedere indicazioni sull’itinerario da 

seguire  per raggiungere la carovana. Una volta riconsegnate le chiavi 

all’università, Riceviamo segnali incoraggianti e decisi, ancora una volta,

sulla direzione da seguire. Anche qui uomini e donne di ogni età e condizione,

appena individuata la targa straniera, si sono fatti intorno e hanno posto 

con ansia domande.   “Verso dove intendete dirigervi?”“Quando avete

 deciso di partire?”I  loro parenti si trovano in Francia, in Germania, 

in Nuova Zelanda,in Canada, negli USA. Ci chiedono se possiamo 

promettere di far partire la posta per i parenti lontani che ricevano così

 notizie dirette sulla realtà attuale delle loro famiglie e della loro città. 

E noi a cercar di rassicurare, a collaborare, ad essere solidali, per il

poco che ci è possibile, a seguire diligentemente le nuove indicazioni 

che ci offrono per raggiungere la colonna organizzata e, con lei, la

frontiera.Solo dai giornali, molti giorni dopo, riuscirò a capire che 

cosa era successo. A rendermi conto perché non eravamo mai riusciti 

a riunirci alla colonna dell’ambasciata e ci eravamo trovati, al tramonto,

in mezzo a una foresta di abeti, a un valico di frontiera talmente 

secondario che le uniche costruzioni visibili erano le garitte dei 

doganieri e della polizia di frontiera, oltre al bel negozio dalle ampie 

finestre – a rendere l’ambiente, che profuma di legno e resina,  molto

luminoso – dove una ragazza, sorridente e con le gote arrossate, 

scartava con cura i luccicanti cristalli, ad uno ad uno, per disporli 

con ordine e precisione sugli scaffali, come se nulla fosse accaduto 

nel suo paese. La dimensione della surrealtà che ritornava: 

disinformazione dettata dall’isolamento oppure, ancora una volta, 

l’autocontrollo della ragione?Durante tutto il percorso, infatti, non

avevamo incontrato neppure un militare in divisa, nessun cingolato,

 nessun blindato. Niente di niente. Come se tutto quello che avevamo 

drammaticamente vissuto a Praga non fosse stato nient’altro che un 

incubo, un terribile incubo pieno d’angoscia. In realtà i bravi Praghesi 

avevano manomesso tutti i segnali stradali per disorientare gli occupanti. 

A noi, poi, in particolare, le persone  che avevamo incontrato lungo il nostro

 solitario cammino, ci avevano indirizzato, con le  loro informazioni, verso

 quell’uscita estremamente secondaria, fuori mano, dove più difficilmente

 ci saremmo scontrati con carri armati e soldati.Ma le sorprese sgradevoli 

non sono ancora finite. Quando i due giornalisti si presentano al controllo

della polizia cecoslovacca di frontiera, vengo a sapere che uno di loro non

 è per niente francese, ma polacco e, per di più, è senza passaporto. Niente 

da fare.  Non sono possibili mediazioni né compromessi, neppure in una 

circostanza così eccezionale.I militari sono inflessibili come al solito, anche

nel momento più insolito.Mi spoglio allora del materiale fotografico, lo 

restituisco ai legittimi proprietari, conservo la posta raccolta nella speranza 

di poter portare a termine l’impegno assunto, ringrazio del provvidenziale

 passaggio e, con qualche imbarazzo, mi congedo. Loro devono restare per

forza. Io devo tentare di proseguire. Non so proprio come. Mi metto

pazientemente sul bordo della strada per Vienna e aspetto di nuovo un 

passaggio prima che scenda la notte.Da questa dannata strada, però

 sembra che non passi proprio nessuno. L’attesa è molto lunga, disperante.

 Finalmente un’elegante auto sportiva blu notte appare davanti alla sbarra.

 Al mio cenno si ferma, quando mi passa davanti. Non mi pare vero. E’ 

un’auto italiana con una coppia a bordo.Sono molto gentili, ma mi fanno 

notare con fermezza che proprio non posso salire. In tutta evidenza i posti

 a bordo sono due soltanto e, entrambi, sono già occupati. Spiacenti,

dunque, ma non c’è posto per me .Rifiuto d’arrendermi all’evidenza 

e per disperazione insisto, propongo di mettermi al posto dei bagagli

che terrò sulle ginocchia. Per mia grande fortuna ho davanti a me 

due persone con la coscienza vigile, che si rendono conto con realismo

del ginepraio in cui mi trovo, sperduta tra gli abeti, con la notte che 

incombe e nient’altro intorno.Nessun’altro a cui rivolgermi.Arrivo 

dunque con loro fino a Vienna. Il breve viaggio serve a conoscerci. 

Resteremo amici. Lui è un medico abruzzese con  la moglie.Era a

Praga per il congresso internazionale. Ha la passione del volo a 

vela. E’ campione di volo con l’aliante. Sono due persone rare.

 Approdiamo in un albergo tutto specchi e dorature nel centro di

 Vienna, verso mezzanotte .Non posso certo cercare un altro posto,

 a quell’ora, per dormire, che sia più alla mia portata. Ho lasciato 

quasi tutte le mie risorse a Irena, pensando che ne avesse più bisogno 

di me. Mi consolo considerando che, alla peggio, resterò a  lavorare

 come cameriera, quanto basti per saldare il debito.La hall è ancora

 piena di gente che discute animatamente, immersa nei soffici divani.

Ci avviciniamo prima di salire alle nostre camere, anzi, quando 

si accorgono del nostro arrivo ci vengono incontro con vivo interesse.

Sono i"giornalisti di prima linea”,soprattutto italiani,che costruiscono 

così i loro servizi, chiedendo notizie a chi arriva dall’al di là della

 frontiera. Almeno  in quell’occasione questo è quel che ho constatato 

di  persona.  Qualche ora di sonno molto confortevole e riposante. 

Poi, di nuovo, separazioni  e saluti, con l’impegno a rivedersi presto.

 Io devo restare ancora per un poco, perché devo parlare con qualcuno

dell’ambasciata francese per spiegare perché non siamo mai riusciti a

 raggiungere la colonna, che comunque io sono passata senza problemi 

alla frontiera, mentre i due giornalisti sono bloccati senza molte speranze

di poter risolvere da soli i loro problemi.In serata prendo il treno per 

l’Italia.Ci sono solo posti in piedi. Mi ricordo allora di un viaggio  

anch’esso notturno e  molto affollato Paris - Marseille, alcuni anni

 prima,in piena guerra di liberazione dell’Algeria, quando però i 

numerosi Algerini – che a Marsiglia avrebbero dovuto proseguire 

con la nave fino a Orano – mi cedevano a turno il posto a sedere. 

Qui invece non c’è traccia di galanteria e tantomeno di collaborazione 

solidale. Quell’orizzonte si deve, nel frattempo essere completamente 

chiuso. Già a Tarvisio sono allo stremo. A Milano sono costretta a

 interrompere il viaggio e decido allora di fare una sosta per riprendere 

fiato e incontrare  la mia amica Lelia e la sua  famiglia. Li raggiungo

proprio quando sono in partenza per la loro casa sul lago di Garda. 

Come un automa li seguo per il fine settimana. 

  Immersa nell'affetto sereno degli amici

 

     E’ in un momento di lucidità residua che mi preoccupo di telefonare

 a casa per tranquillizzare i Miei.

       Quando, alla fine, approdo a Roma, sono convinta di uscire dalla Storia 

per rientrare nella normalità quotidiana. E invece...

       Certo il ritorno a casa produce una forte emozione. Sulle prime

l’emozione prende inevitabilmente il sopravvento, e la preoccupazione, 

che assorbe tutte le  mie facoltà,  quella di rincuorare i Miei, che 

appaiono particolarmente provati, anche se vorrebbero sembrare  tranquilli 

e  contenti ,ora che tutto si è concluso per me,senza troppi danni visibili.

Ma, dopo qualche giorno, la sensazione di disagio persiste, senza che,

peraltro, io riesca a individuarne l’origine vera. Piccoli dettagli continuano 

a infastidirmi oltre il dovuto e do la colpa all’esperienza traumatica appena

vissuta. Libri fuori posto, oggetti un po’ sciupati, come se fossero caduti e

 avessero preso una botta. Comincio a fare qualche domanda con discrezione.

 alla fine la rivelazione dell’ultimo atto del dramma.

       Quando i miei genitori  sono tornati a casa precipitosamente per le

notizie degli avvenimenti praghesi, nella speranza di ricevere così qualche

segnale, di riuscire a stabilire più facilmente qualche contatto

 (naturalmente anche le linee telefoniche sono state interrotte e i vari

messaggi affidati agli Italiani, pronti a rientrare in macchina, incontrati

per strada a Praga, non sono mai arrivati) hanno trovato la devastazione.

Annus horribilis per noi quell’anno! La notte prima del loro rientro 

erano entrati i ladri a casa ed avevano rubato, fracassato, insozzato, 

imperversato con ogni sorta di nefandezze. E i Miei avevano fatto

appena in tempo a ridare una parvenza di normalità all’abitazione 

per evitare che al mio rientro ricevessi una frustata supplementare.

Una tragedia nella tragedia, insomma.Una stagione per me, quella

dell’estate 1968, plumbea, nella dimensione pubblica e privata,

senza scampo, irrimediabilmente indimenticabile. E se il tempo è, 

come si suol dire,una buona medicina, per noi ne sono servite dosi 

massicce per guarire alla vita.

 

 

 

 

 

 

 

Epilogo.

    Che esperienza, la mia! Tragica senza alcun dubbio, 

ma anche con aspetti paradossali  e in forte contrasto.

    Come il terrore del primo impatto dei Praghesi  con i mig 

appena atterrati  che vomitano tanki carichi di soldati mongoli

che si rivelano presto un parto assurdo della paura. In contrasto 

netto con il comportamento che quegli stessi cittadini imposteranno 

durante il giorno come se una voce sotterranea rapidamente diffusa

li avesse concordemente spinti a un generalizzato, freddo tentativo

di fraternizzazione con i biondi giovanotti in divisa sui carri armati. 

Iniziativa, a quanto pare, efficace, riuscita e giudicata molto rischiosa,

se i dirigenti sovietici decidono che il giorno dopo tutte le truppe 

devono essere sostituite e deve essere vietato in modo assoluto 

qualsiasi contatto dei nuovi soldati con i cittadini di Praha.

    Coraggio ragionato – il popolo ceco trae il suo approccio cartesiano

alla vita dal fatto di essere stato il protagonista,all’est dell’Europa,

della prima rivoluzione industriale – ed  estremo,dettato dalla condizione 

altrettanto estrema in cui si sono venuti a trovare inaspettatamente gli 

abitanti della città in contrasto stridente con l’ingenuità totale dei soldati 

di leva,convinti di partecipare semplicemente alle manovre  abituali del

 Patto di Varsavia, assolutamente inconsapevoli di costituire un esercito

invasore. Razionali  e iperattivi, i giovani praghesi che in un baleno 

bendano le statue dei loro eroi e pensatori perché non debbano osservare 

tanto scempio e, ai loro piedi, si affannano a confezionare senza 

sosta manifesti con cui ricoprire ogni muro della città perché tutti 

siano informati di quel che sta accadendo insieme con le iniziative

per opporsi all’affronto assurdo patito; senza tuttavia dimenticare 

di rendere pubblicamente esplicito,sempre tappezzando i muri della 

città, il forte legame di stima e di identità di intenti tra il popolo e i

suoi rappresentanti eletti.

    Efficaci e tempestivi i diplomatici francesi che organizzano l’esodo 

dei loro concittadini e anche altri stranieri che il turismo congressuale 

o culturale ha intempestivamente portato in città,in opposizione,

 purtroppo,netta e chiara con la totale inefficienza della parallela

struttura organizzativa  italiana che altrettanto prontamente  si 

svuota proprio nel momento in cui sarebbero indispensabili i 

suoi servizi.

       E ancora un contrasto significativo: i capannelli di semplici

cittadini  che avvicinano  gli stranieri in uscita per porgere 

malinconicamente lettere da impostare -una volta varcata la frontiera-

come condannati rassegnati a una sorte ineluttabile e, come sarà reso

esplicito qualche giorno dopo dalla stampa internazionale, l’iniziativa

 capillare di quegli instancabili cittadini anonimi che provvederanno a

 modificare la direzione di ogni segnale stradale per  offrire il proprio

 contributo al disorientamento dell’occupante.

      E per concludere la ben strana cernita di esempi contrastati, quello

finale che oppone l’atmosfera plumbea di Praga, con quella rilassata e

molto confortevole della hall del lussuoso albergo viennese dove passano

il tempo della comoda attesa i giornalisti, per scrivere i loro servizi di 

prima linea, nutriti dai racconti di alcuni fortunati fuoriusciti, scampati

all’inferno di Praga.

     E infine il contrasto più difficile da accettare, quello storico-politico 

di un popolo, quello cecoslovacco, che  in modo più diffusamente convinto

e costruttivo tra quelli che facevano parte del Patto di Varsavia aveva aderito 

fin dall’inizio ai principi dell’etica e dell’organizzazione post –rivoluzionaria,

che, per assurdo, non aveva partecipato poi a quella  destalinizzazione, a cui 

invece si erano  dedicati i Polacchi o gli Ungheresi  e che, infine, una volta 

trovata la via di una  soluzione fertile di serenità e sicurezza economica,

incappi in una contro-iniziativa talmente estrema, grave e intollerabile, 

di cui neppure l’età staliniana era stata capace. Evidentemente il livello 

di gravità di un tal gesto non può appartenere che a politici autoritari,

certamente,non autorevoli,ma, anzi, ottusamente inadeguati.

                                                               FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



mercoledì 7 ottobre 2020

Arrivo a Praga il 20 agosto 1968.

 

  

  Praha. 20.agosto.1968

      Io passo  e ripasso il mitico Danubio e poi...l’abbraccio con i miei amici. Sono lì ad attendermi,trepidi,alla stazione. Come una tenera coppia disegnata da Peynet. Jirko ha in mano

 perfino il bouquet, tutto fasciato di trine.

    Ci mettiamo in movimento quasi subito. L’entusiasmo cancella ogni stanchezza. Saliamo in casa, vicino a  piazza Venceslao,  per lasciare i bagagli e per un rapido spuntino. Poi, subito via per la città.

    Uno sguardo d’insieme e numerose soste per prenotare una serie di delizie  del programma preparato su misura  per me: subito l’avvio di serata con le chiacchiere inevitabili per rinfrescare i ricordi,qualche accenno di  programma per  l’indomani,l’imperdibile prenotazione per  la pantomima  poi all’ufficio  del turismo per garantirci una breve escursione sui Monti Tatra. Anche le marionette non potranno  mancare. Sarà prudente prenotare tutto perché la  città è invasa da schiere di medici  riuniti a congresso da tutto il mondo. A a concludere la serata ruggine che corre tra Cechi e Polacchi. Infatti,a un tavolo vicino a noi il mio orecchio attento,curioso e un po’ addestrato, coglie l’accento di una lingua slava ,piena di consonanti, soprattutto sibilanti, che però non capisco. Voglio saperne di più e mi rivolgo ai miei premurosi ospiti,che mi rispondono subito asciutti:”Sì,sono quelli rimasti a Chopin !” Sono incredula e un poco imbarazzata.

   La terra che ha vissuto con successo la rivoluzione industriale ha acquisito un sentimento di orgogliosa superiorità che mi sembra francamente eccessiva. La serata scorre tuttavia veloce e molto piacevole. Dopo mezzanotte,quando mi metto a letto,mi lascio con rapidità scivolare nel profondo sonno dei giusti.

   Mi sembra di essermi appena addormentata,quando sono risvegliata bruscamente dalla presenza dei miei amici che siedono ai lati del letto e mi tengono le mani con atteggiamento di ansia e di protezione ad un tempo. Il primo pensiero va ai miei genitori. E’ successo qualcosa in montagna. Ma il racconto confuso che ascolto mi propone una diversa realtà,drammatica,ma molto vicina,imminente,imprevedibile,che ci coinvolge subito tutti.

   C’è stata una telefonata dei parenti prima dell’alba;abitano vicino all’aeroporto e le notizie sono sconvolgenti. Durante la notte  dai MIG sovietici continuano a sbarcare soldati mongoli sui tanki. Le reazioni di Irena e Jirko sono di sconcerto e di grande preoccupazione,la mia di incredulità. Finora ho ascoltato solo parole di angoscia e di paura . Mi mancano i fatti. Ho bisogno di qualche verifica. per raccogliere notizie  da parenti ed amici e cercare di analizzarle. Si è intanto superata l’alba ed io provo a chiamare l’ambasciata d’Italia. Mi rispondono,ma per dirmi che  non sanno niente,che è troppo presto,che posso richiamare verso le 9.00,come se fosse una giornata qualsiasi,con gli abituali orari d’ufficio.

  


   Nell'alba livida, dalla finestra di casa, i primi scatti in sequenza a un corteo di protesta in formazione, diretto verso la vicina piazza Venceslao


 

 

   Intanto,dalla finestra, in una luce spettrale, si cominciano a vedere gruppi di cittadini, a piedi o su camions, avviarsi , con le bandiere nazionali spiegate , verso piazza Venceslao .

 


 
Alcuni parenti dei miei amici che ci hanno intanto raggiunto in casa,- con cui abbiamo scambiato  le poche notizie disponibili e i diversi pareri-,considerano la mia decisione molto coraggiosa di andare a verificare scendendo in strada,loro sono bloccati dalla paura. In realtà il mio non è affatto un gesto di coraggio,semmai di incoscienza,dovuta all’assoluta impreparazione per una simile esperienza. comincio a constatare come più a lungo abbiano pesato gli stati di polizia nella formazione della sensibilità dei cittadini della Mittel Europa e del mondo slavo – due i nomi che mi vengono in mente e penso a Gogol e a Kafka – mentre i fascismi nei paesi latini sembrano ,a questo proposito, aver fatto minor danno. Non è un caso se ancora l’anno successivo Irena ha  continuato a firmarsi “Caty” nelle sue lettere e cartoline.  Alcuni parenti,che ci hanno intanto raggiunto in casa,- con cui abbiamo scambiato  le poche notizie disponibili e i diversi pareri-,considerano la mia decisione molto coraggiosa,loro sono bloccati dalla paura. In realtà il mio non è affatto un gesto di coraggio,semmai di incoscienza,dovuta all’assoluta impreparazione per una simile esperienza. comincio a constatare come più a lungo abbiano pesato gli stati di polizia nella formazione della sensibilità dei cittadini della Mittel Europa e del mondo slavo – due i nomi che mi vengono in mente e penso a Gogol e a Kafka – mentre i fascismi nei paesi latini sembrano, a questo proposito, aver fatto minor danno. Non è un caso se ancora l’anno successivo Irena ha  continuato a firmarsi “Caty” nelle sue lettere e foto della città innevata in cui mi ricorda con una freccia il ristorante della cena la sera del mio arrivo,ancora inconsapevoli di quello che sarebbe accaduto solo nelle ore successive della notte.

 In piazza Venceslao troviamo un’atmosfera surreale. Le bandiere della Repubblica Cecoslovacca garriscono al vento sulle automobili che suonano i clakson con rabbia ,ma anche sui camions ,che hanno cominciato a a sfilare numerosi ,stipati di giovani e  percorrono avanti e indietro la piazza come per una festa...Invece è quella la protesta nelle strade.    

 


 ... la gente si ferma, interdetta, a guardare ....

 


...  e, sullo sfondo, dietro al Palazzo del Museo Nazionale, sale una colonna di fumo …

 

  

     Noi siamo  coinvolti,e non riusciamo ad allontanarci,neppure per andare a vedere lo stato della situazione altrove.

      E dopo un bel po' c'è ancora quel fungo di fumo nero che sale. E si sentono scoppi,forse di bombe. La provenienza del rumore e del fumo sembra corrispondere alla sede della Radio-Televisione.

  Sono comparsi anche i carri armati ... e qualcuno cerca di sembrare indifferente e si avvia lo stesso al lavoro .....





    Ci spostiamo allora verso Stare Mesto. Sotto il celebre orologio altra scena incredibile. Mi avvicino per capire meglio. Le ragazze e le donne con i bambini in braccio stanno parlando con i soldati e mi fanno largo per farmi partecipare. Le parole fondamentali e i giri di frase elementari mi riaffiorano dal deposito dimenticato dei passati studi e riesco a seguire i discorsi. Non sono soldati cechi quelli sui tanki, ma sovietici di leva a cui i Cecoslovacchi si rivolgono con espressioni fraterne. Cercano di creare una situazione paradossale di familiarità, evocando rapporti semplici di situazioni affettive parallele, che costituiscano l’ostacolo invalicabile per possibili azioni aggressive e violente. Tutto attraverso dialoghi elementari, all’apparenza banali, quasi insensati, ma psicologicamente sottili e molto efficaci.

 


  –Ciao, come ti chiami?

-Vladimir.

Davvero? Proprio come mio fratello, che deve avere la tua età.-Ho vent’anni,sono operaio e sto facendo il servizio di leva. E’ la prima volta che partecipo alle esercitazioni del Patto di Varsavia e non sapevo che ci avrebbero portato a Praga. Come si chiama la bimba che hai in braccio? E’ tua figlia?

-Lei si chiama Tamara.

Incredibile! Avrò capito bene? E i soldati che sembra non si rendano conto di quel che sta accadendo ... Più in là un uomo in bici, che non se l’è sentita  di andare a lavorare; accanto un gruppo di studenti con le bandiere che confabulano;delle ragazze cercano di far conoscenza con altri soldati, come può accadere fra coetanei nella piazza del paese un sabato pomeriggio.

 


       Un po’ più in là, nella piazza accanto, Jan Huss è stato bendato con una bandana dai colori nazionali – bianco, rosso e blu – perché non abbia ad assistere all’assurdo scempio.Ed io tanto mi emoziono a quella vista che taglio la parte più interessante inquadrando la mia foto.

 


 


La preparazione frenetica dei manifesti.

 

La protesta scritta dei giovani.

   Saliamo fino a Mala Strana. All’ambasciata italiana non c’è nessuno.  Si dice che in circostanze analoghe, altrove, sia accaduto più volte lo stesso. Ci resto molto male, anche se credevo di 

non essere nazionalista, ma cittadina del mondo. Qui, ormai, non c’è più niente da fare.

  Ridiscendiamo. Alla base del monumento di Jan Huss tanti giovani e un gran fervore.

 Il daffare consiste soprattutto nella preparazione dei cartelloni e degli striscioni per le prossime manifestazioni.

 C'é tensione,ma non paura.Un ragazzo-sandwich,seduto sui gradini,mi guarda severo quando fotografo il cartellone che porta sulla schiena,Forse mi ha preso per una turista curiosa. di un evento 

che percepisco nella sua drammaticità ,come storico

Ci restio male ancora una volta.Mi dispiace per l'equivoco,perché invece io mi sento partecipe

e cerco di documentare tutti gli elementi che posso di un evento che ,nella sua drammaticità,

percepisco come storico.

 

                                Lo sguardo severo del ragazzo - sandwich.

...Cè tensione, ma non paura. Un ragazzo - sandwich, seduto sui gradini, mi guarda severo

 quando fotografo il cartello che porta sulla schiena. Forse mi ha preso per una turista curiosa.

 Ci resto male ancora una volta. Mi dispiace per l’equivoco, perché invece io mi sento partecipe

 e cerco di documentare tutti gli elementi che posso di un evento, che percepisco come storico,

nella sua drammaticità.

Abbiamo visto abbastanza. Torniamo a casa -  sono più disorientata che mai - per accumulare

 le nostre valutazioni  che continuano a dire e a contraddire,nell’impossibilità di una sintesi lucida.

Poche ore di sonno inquieto e poi, via di nuovo con Irena. Jirko oggi ha deciso di tornare al 

lavoro. E’ ingegnere alla compagnia dei telefoni. Di nuovo per le strade a guardare,a cercare,

a scoprire una possibile, anche se crudele verità.

                Tutto sembra ancora diverso,cambiato,ancora più incomprensibile. difficile è infatti 

capire  senza lo scambio di parole. Resta il linguaggio del corpo . Ma un corpo sfingeo, perché 

anche i gesti mancano ormai. Nelle strade infatti i carri armati sono ancora là. Ma i soldati non sono più gli stessi. Sapremo in seguito che nella notte si è proceduto a un totale ricambio delle truppe per rimuovere quella sorta di inquinamento ambientale che la fraternizzazione dei Praghesi coi soldati del primo sbarco aveva pericolosamente prodotto. e i nuovi arrivi sono stati ben rigidamente istruiti perché sono tutti, indistintamente, chiusi in se stessi. spesso sono addirittura rivolti all’interno del carro, quasi per paura di cadere in tentazione, per non cadere nella trappola:”a domanda – rispondo”.

 


      La fraternizzazione tra militari e cittadini praghesi  è ormai solo un ricordo …

                                       

  Basta, però l’introduzione di un diverso, un istintivo, un passionale, capace di porre in atto l’episodio  isolato – in mezzo alla razionalissima moltitudine del popolo ceco, che produce spesso situazioni surreali – perché si realizzi l’eccezione scioccante. all’improvviso in strada uno zingaro

si para davanti a un carro armato in movimento e gridando con gesto di sfida rabbiosa squarcia la camicia che indossa  e offre il petto nudo alle armi puntate contro di lui. un brivido gelido mi corre lungo la schiena, vacillo, credo di perdere l’equilibrio, ma, per fortuna, il cingolato si ferma e, per

 il momento, non succede niente di più grave.

    L’atmosfera si è fatta cupa. L’ostilità è palpabile, conclamata.

                               
All’altezza del Ponte di Carlo Jiri Trinka con la figlia sembrano affrettarsi verso casa –

di vedere le sue famose marionette all’opera me lo posso proprio scordare - . C’è ancora
 gente 
in strada, ma non forma più capannelli per scambiarsi notizie e opinioni. Continua però a 
informarsi anche leggendo i cartelli sparsi ovunque.

  Al ponte di Carlo:la bandiera della Repubblica cecoslovacca sulla statua .
     

Sulla vetrina del l'ufficio del turismo bulgaro  Al ponte di Carlo:la bandiera della Repubblica cecoslovacca sulla statua . SSSR Go HOME-Sovietici andate a casa.

                                                            Oggi sciopero generale-h.12-13

      Le parole sono ormai affidate solo alla scrittura.

                                                             Questo è un fatto nostro

... e altri, in rapida successione sul bandone di un cantiere e, ancora una volta,  “SSSR a casa”,in inglese,”Questo è affar nostro”, questa volta in russo ...con l'errore ortografico poiché in russo

la 'o ' non accentata si legge 'a';Svoboda,giocando sulla polisemia del termine, che significa 

"libertà,ma che è anche il nome del presidente eletto della repubblica cecoslovacca. Anche qui 

un errore di scrittura perché la 'b' cirillica è scritta alla rovescia.Niezavisimostj(indipendenza).

Tanki niet!(No carri armati)

...e poi "Svoboda", e le foto e il nome dei rappresentanti eletti
(sovrani)del popolo cecoslovacco.

Forse l'ultimo camion per l'approvvigionamento viveri che riesce ad entrare in città.



(continua)